Progetto di Zona 1999-2002
“Se fai quello che hai sempre fatto,
otterrai quello che hai sempre ottenuto”
Anonimo
Progetto di Zona
1999-2002
“QUANDO L’ESSERE CRISTIANI CHIAMA A DELLE SCELTE CORAGGIOSE”
Don Albino Bizzotto, dei Beati Costruttori di Pace“FARE STRADA CON I GIOVANI TRA DISINCANTO E UTOPIA”
Dott. Fabrizio Guaita, referente ULSS 13 per la prevenzione e disagio giovanile
Sintesi dei lavori preparatori al convegno
Obiettivi per il triennio
Al termine del primo progetto della “nuova” zona di Scorzè, principalmente fondato sulle tematiche di fondo della identità personale, coscienza di sé, della comunione con Dio e i fratelli e il servizio come stile di vita, si è reso necessario interrogarsi sulla nuova realtà del territorio, dei ragazzi, delle co.ca. e dei capi che le compongono.
Lo abbiamo fatto verificandoci su:
i progetti educativi delle comunità capi
raccogliendo e confrontando i p.e. dei gruppi della zona
la legge scout
proponendo nelle co.ca. un confronto su come incontra il nostro stile di vita di adulti
la lettura della realtà dei ragazzi
raccogliendo nelle branche di zona i bisogni e le aspettative dei bambini e dei giovani della nostra zona
due messaggi forti esterni all’associazione
facendo tesoro degli interventi al convegno di novembre 1998 di don A.Bizzotto, dei Beati Costruttori di Pace, e di un uomo delle istituzioni, dott. F.Guaita, vicino alla realtà dei giovani
Trovare il filo rosso che univa tutti i contributi considerati non è stato facile, ma importante, invece, è stato coinvolgere tutti i capi e le co.ca. nella lettura della realtà e nell’individuazione delle problematiche prioritarie legate al servizio educativo.
Abbiamo “osato sognare” e pensiamo che qualcosa di buono ne sia uscito.
Vogliamo ricordare, infine, i compiti peculiari della zona, da tenere sempre presente quando si costruisce un progetto:
sostenere la crescita delle co.ca, verificando la loro azione educativa e promuovendo l’aggiornamento e la formazione dei capi;
curare lo sviluppo e seguire la crescita di nuovi gruppi scout;
curare i rapporti con gli organismi civili ed ecclesiali e le altre associazioni.
FARE STRADA CON I GIOVANI, FRA DISINCANTO E UTOPIA
dalla relazione del Dr. Fabrizio Guaita, referente ULSS 13 per la prevenzione e disagio
giovanile, al convegno del 28 novembre 1998
Premessa
Stiamo vivendo una transizione epocale, per almeno quattro motivi:
cambia il modo di rappresentarci la realtà, con uno schiacciamento del concetto spazio e temporale (pensiamo ai telefonini);
tale cambiamento rende mutevoli gli orizzonti dei valori condivisi, che non sono più chiari netti come una volta;
i valori tradizionali, pur oggi presenti, conoscono una scarsa declinabilità e diventa difficile praticarli;
stanno emergendo nuovi valori (ad es: la soggettività, la gratificazione, il superamento del limite), con cui confrontarci.
Un adolescente sta quindi vivendo un doppio cambiamento: sta cioè vivendo una situazione di cambiamento psicologico, fisico e realzionale in un contesto a sua volta in continuo cambiamento. E ciò comporta una serie di caratteristiche “normali” ed anzi enfatizzate in questo contesto.
I percorsi della normalità: concetto di agio-non agio-disagio fisiologico
Da studi condotti a livello nazionale escono alcune informazioni preziose e significative.
Se infatti noi consideriamo l’intero universo adolescenziale-giovanile (cioè la fascia d’età tra i 14 ed i 22 anni) notiamo che esiste una parte significativa, quantificabile in oltre 2/3 del totale, che vive una situazione di “normalità” intendendo con questo termine quei percorsi di normalità caratterizzati spesso da periodi più o meno lunghi di non agio o disagio fisiologico, naturale e reversibile. Soltanto un terzo circa imbocca, invece, un percorso più tortuoso e prolungato di reale disagio che, in una parte dei casi, può sfociare in una patologia conclamata.
Caratteristiche relazionali dell’adolescente “normale”
In particolare, tra le caratteristiche relazionali tipiche di questa età sono almeno quattro quelle che devono essere tenute presenti dagli educatori e dagli operatori sociali nelle loro mappe di lettura dell’adolescenza (e che a volte sono invece vissute come dicevamo, in modo negativo, anormale, al limite della patologia).
1. Concetto di “non-agio/disagio fisiologico” in adolescenza
Qualsiasi sistma vivente (siano essi singoli individui, istituzioni, famiglie, reti sociali) è di norma estremamente refrattario a qualsiasi tentativo serio di cambiamento, temendo di fatto anche le più modeste deviazioni dall’abitudine e dalla sicurezza data dalle certezze relazionali. Qundo l’azione del tempo e le inesorabili necessità della biologia rendono, almeno parzialmente, inutile tale costante sforzo omeostatico, la reazione è quasi sempre di ansia, di timore del pericolo, di paura dell’ignoto, di disagio; tale reazione può essere più facilmente tollerata e superata se, oltre alla maturità e alla coesione interna del sistema, si può disporre anche di un periodo di tempo adeguato per raggiungere un buon livello di accettazione del periodo di crisi e di passaggio.
L’adolescente, invece, è posto di fronte ad una serie di numerosi improrogabili cambiamenti (sia di ordine biologico che psicosociale – pensiamo ad esempio alla modifica dei ruoli nel passaggio da bambino/incompetente ad adulto/responsabile) a cui non può sottrarsi, che si presentano spesso contemporanemente in un periodo di tempo limitato. Con una metafora, potremmo anche dire che essi sono come delle verifiche periodiche (in diverse materie della vita) che uno studente (cioè l’adolescente) deve superare con esito positivo, per poter raggiungere il diploma di maturità (e divenire così adulto). Le sedi più rilevanti (e funzionali) in cui tali compiti possono venir affrontati e superati nel modo migliore sono, per gli adolescenti, i gruppi amicali, che in questa età assumono un ruolo decisivo; la stessa subcultura, che pervade tali gruppi, può essere fondamentale nell’attribuire significato a certe esprienze, favorendo (o limitando) la soluzione dei compiti prefissati.
L’adolescenza è un periodo interessato da una serie numerosa di caratteristiche biologiche, psichiche e relazionali comuni alla stragrande maggioranza della popolazione giovanile. Tali caratteristiche, nella loro poliedrica variabilità individuale vanno a costituire qui percorsi di normalità in adolescenza che non sempre gli adulti sanno accettare e riconoscere, ma che anzi spesso definiscono come segni “problematici o patologici”.
Per effettuare il passaggio di graduale trasformazione da bambino ad adulto, cioè il passaggio da uno stato ad uno stato di indipendenza/autonomia fisica, psicologica, emotiva, razionale, l’adolescente deve sperimentarsi provare come funziona nei vari livelli senza l’aiuto dell’adulto: deve vedere quanto le sue idee sono veramente sue e stiano in piedi da sole, fino a che punto può spingersi (avendo quindi bisogno di contestare, criticare, fare di testa sua, fino a sbatterla!).
Il fatto che tali reazioni sono normali non vuol dire che non creino sofferenza in chi li vive in prima persona, ma anche in chi li vive indirettamente (come gli altri membri della famiglia).
Il grosso disagio intrapsichico dell’adolescente è dovuto sostanzialmente al fatto che, per acquisire un’identità adulta, deve confrontarsi con tre grossee perdite: quella del corpo infantile, quella del ruolo infantile, quella dei genitori dell’infanzia. Tale disagio fisiologico non è cancellabile, fa parte della vita, del crescere e non si può sostituire (ma nemmeno lasciare i ragazzi soli).
2. Modifica dei canali delle modalità della comunicazione
Intorno ai 15, 16 anni si assiste alla riduzione dell’importanza della parola com momento privilegiato di scambio comunicativo, in particolare nel rapporto adolescente-adulto.
In quest’età, per raccontarsi, per parlare e, a volte, per urlare si usano sempre meno le parole e sempre più i gesti, i comportamnti o le comunicazioni non verbali, modalità diverse dal dialogo che i genitori sembra essere invece il massimo dei pregi che un adolescente dovrebbe possedere. Così si assiste spesso a modalità comunicative e a richieste bizzarre, quali domande tangenziali (ad esempio sull’adolescenza di genitori), riflessioni sui problemi dei propri amici, diari “distrattamente” lasciati in giro affinchè “casualmente” vengano letti dai genitori, musi lunghi o periodi quasi ipomanicali,… Quand’anche la comunicazione verbale viene mantenuta (come ad esempio nel gruppo dei pari) essa assume caratteristiche del tutto particolari con frasi brevi, con battute sincopate riprese a distanza di tempo dopo alcune sequenze, con uso di espressioni gergali,…
3. Il gruppo informale dei coetani come palestra relazionale
Per gli adolescenti si possono riconoscere cinque contesti di socializzazione, nei quali essi, a vario livello e con diversa importanza, si rapportano tra coetanei e con gli adulti: la famiglia, la scuola/lavoro, le micro-culture riconosciute (oratorio, gruppi sportivi, concerti, discoteche, stadi,…) e i gruppi informali.
In questo periodo della vita è soprattutto il gruppo informale dei coetani ad assumere un ruolo importante nello sviluppo della vita relazionale dell’individuo come “palestra” in cui potersi sperimentare, giocare e come luogo a cui è riconosciuta autorevolezza e competenza sui diversi argomenti, anche della sfera più intima. Nel contempo si assiste ad una significativa riduzione dell’importanza pedagogico-educativa (ad esempio nella capacità di saperesi porre come modelli di riferimento significativi) delle classiche agenzie formative (famiglia, scuola, associazioni…) mentre assumono invece importanza altre figure di adulti significativi che, pur non avendo obbligatoriamente un chiaro ruolo istituzionale, vengono riconosciuti dagli adolescenti come soggetti autorevoli, credibili competenti.
4. L’indispensabilità della trasgressione per introiettare la norma
Una quarta caratteristica della “normalità” dell’adolescenza è quella dell’utilizzo da parte degli adolescenti della trasgressione, intesa come strumento per conoscere e definire i propri limiti attravrso il loro temproaneo superamento: una regola o una legge può infatti essere compresa e fatta propria solo nel momento in cui la si trasgredisce, ponendosene al di fuori ed accettandone anche le eventuali conseguenze normative e sanzionatorie. In altre parole la trasgressione alle norme (sia interiorizzate che parentali e sociali) rappresenta una delle principali modalità in mano all’adolescente per la costruzione di una identità definita.
I percorsi del disagio: quali sono i fattori di protezione e le risorse positive?
Contesto dei pari: è quello che definisce gli aspetti fusionali della formazion del sè, dove c’è più confusione e meno differenza tra IO e TU, contrariamente la separazione dell’identità avviene nei contesti misti.
Altro aspetto di differenziazione è che in in questo contesto si ha la possibilità di sperimentare le attivazioni cooperative (fatto possibile solo a partire da alcuni primati fino all’uomo): possibilità cioè di interagire insieme rispetto ad un obiettivo condiviso. In adolescenza questo ha un’importanza fondamentale, con il massimo di espansione di sè nl mondo, in modo relativamente libero da emozioni negative.
Il gruppo dei pari è quello della ritualizzazione dell’esperienza, della costruzione di miti come primi nuclei di astrazione, di pensiero astratto. Il gruppo costruisce la propria cultura autonoma, del tutto indipendente dalle culture circostanti.
La seconda risorsa positiva sono gli adulti significativi, sia come singoli che come figure importanti di riferimento all’interno dei gruppi misti, in cui è prevalente lo scontro tra culture e la negoziazione culturale. Nell’incrocio tra orizzontale (gruppo dei pari) e verticale (rapporto con gli adulti) nascono le idee (cosa diversa dall’adesione acritica o dalla contestazione), nella compartecipazione a vari livelli. Per l’adolescente assume quindi enorme importanza l’incontro con la figura adulta e la stessa tipologia dell’incontro; la figura adulta, rispetto all’adolescenza extrafamiliare, continua ad avere, in modo ancora più specifico, una doppia connotazione, essendo l’adulto pe un adolescente sempre uno specchio limite:
di specchio: nessuna figura adulta è accolta come specchio nel ruolo, in quanto l’adolescent ha bisogno di conoscerlo come persona, prima ancora e più che come ruolo: vuole cioè sapere cosa pensa di lui l’adulto in quanto tale (il professore che mette 4 sul registro si somporta come, con che faccia,…). Gli interessa di più cosa pensa Mario, Gigi,… più che il medico, il professore, il capo scout, il vicino di casa, leggendo sempre nelle facce ed espressioni dell’adulto le informazioni su di sè, di come sta andando, cosa fuori dalla consapevolezze razionale e irrinunciabile.
di limite: esiste comunque l’abito sociale (funziona meglio se tolgo l’armatura dei codice sociali, che possono diventare un grosso problema). La difficoltà è mettere insieme due aspetti, due livelli/dilemma. I cotanei finti sono il massimo dell’imbroglio, perchè arriva sempre il livello di realtà (con sentimenti di delusione, smontando in modo brusco un castello costruito in buona fede con l’attiva partecipazione dell’altro). Il limite è inteso non tanto come divieto, che è una sotto specie del limite, ma sopratutto perchè l’adulto è di per sè stesso limitato, che non sa tutto. Un adulto può essere totalmente vietante ma assolutamente non limitante: riducendo lo spazio esplorativo si propone però come illimitato e non riesce a proporre nessun limite al ragazzo. C’è differenza tra limite e limitazione, perchè il limite significa poter parlare di sè e della propria esperienza, proponendo un rapporto con una persona che sa proporre qualcosa di sè: il professore che racconta di sè, ad esempio, interessa e fa da limite, da contenitore del gruppo classe. Soprattutto con la figura adulta (che la le caratteristiche della distanza) l’adolescente ha bisogno di toccare l’autenticità, la corenza (“quello che dici, come lo dici è uguale a quello che fai?”)
Un terzo elemento positivo è il territorio dove si vive, territorio o comunità locale: invece abbiamo sempre di più degli orfani di territorio. E’ ovvio che nascere in una determinata realtà o in un determinato quartiere può diventare fattore importante di rischio, mentre un territorio ricco di opportunità, di una stretta solidarietà nel vicinato, di una buona tolleranza alla diversità, di un soddisfacente livello di comunicazione tra i diversi residenti è certamente dotato di maggiori “anticorpi naturali” nei confronti del disagio. Un’importante risorsa presente in un territorio è quella che viene chiamata la rete primaria natuarale.
Di cosa si tratta? Con questo termine si intende la rete formata da quelle persone e quelle relazioni (al massimo una ventina) veramente significative, che scattano e si rendono visibili nell situazioni di reale urgenza e bisogno. Si è notato che un peggioramento della velocità di transito nei percorsi del disagio avviene quando la rete sociale natuale è a maglie larghe, con pochi ponti “nodali”, rappresentati da poche persone e con relazioni strette.
Per concludere: cosa fare ?
incontrare le persone ed affrontare i problemi
accompagnare, cona la testimonianza, non portare
non bastano le sole risposte tecniche, ci vogliono relazioni
mettere la persona al centro, partendo non dai problemi ma dai bisogni (e tra tutti quelli dell’affettività e della comunicazione).
QUANDO L’ESSERE CRISTIANI CHIAMA A DELLE SCELTE CORAGGIOSE
Relazione di Don Albino Bizzotto, dei Beati Costruttori di Pace, al convegno del 28 novembre 1998
[Le parti in corsivo corrispondono ad alcuni concetti espressi da don Albino e sintetizzati, dopo la trascrizione dall’audiocassetta, da don Lorenzo]
[Questa sera, più che dire tanti concetti preferisco raccontare quella che è stata la mia personale esperienza circa la fede]. Io vengo da una cultura e da una educazione dove l’atteggiamento della fede veniva determinato principalmente da una “conoscenza”, da una catechesi, e perciò era una questione riservata al singolo individuo. La religione, per la mia cultura, è stata un qualcosa che riguardava le scelte individuali personali; la pratica religiosa coincideva con le preghiere, con l’eucaristia domenicale. La vita però, dal lunedì al sabato, il modo di rapportarsi con i soldi, con l’economia, il modo di risolvere i conflitti tra i vicini di casa, il modo di impegnarsi politicamente e quindi far le scelte politiche, era tutta un’altra cosa, un’altra realtà, per cui la concentrazione della vita di fede veniva espressa dai sacramenti. Essi perciò non erano uno strumento per entrare, per “lavorare” dentro la storia, ma costituivano principalmente la finalità di tutta la pastorale, la quale veniva costruita proprio attorno al Battesimo, alla Cresima, alla Prima Comunione, alla Confessione e poi, per gli adulti, finita la catechesi, attorno al Matrimonio e infine, l’ultimo momento, anche alla celebrazione dei funerali. Questo era principalmente per me l’orizzonte religioso, e anche la mia vita di prete consisteva principalmente nel recitare le preghiere del breviario, celebrare l’eucaristia e muovermi proprio all’interno di questa realtà. Per cui la novità veniva solo se qualcuno faceva qualcosa di diverso e allora era un “prete diverso”. Oggi per me si sono rovesciate le cose; infatti sono stato costretto proprio attraverso la storia – che è una storia fatta anche di difficoltà, di sofferenza e, a volte, di incomprensione – proprio da quelli che mi dicevano che Dio non esiste, proprio da quelli che attaccavano la Chiesa, che erano in polemica con la Chiesa – ma quando c’è polemica c’è un rapporto di amore-odio, c’è una nostalgia – proprio a partire dalla realtà concreta del modo di rapportarsi o di non rapportarsi con la Chiesa, con Dio, specialmente nella polemica, proprio qui ho trovato invece tante persone che mi hanno restituito prima di tutto una Parola di Dio biblica, che è incarnata nella storia, quindi la lettura della Bibbia come una lettura della storia e secondo la realtà dell’umanità, al di là delle categorie religiose. Anche la storia è portatrice e rivelatrice della realtà di Dio! Per cui oggi io non sento più la realtà religiosa come un fatto individuale, personale o come il mio rapporto che ho con Dio. Oggi per me la fede è la realtà fondamentale che caratterizza il mio esser persona; ciò che per me è stato importante è l’aver rovesciato i punti di partenza nel mio rapporto con la fede. Io, una volta, al catechismo credevo che ci fosse un Dio nei cieli, che ha mandato suo Figlio sulla terra; questo Figlio Gesù è straordinario, un modello che mi ha insegnato e mi ha dato una morale per agire dentro la storia, per cui mi rifaccio al modello Gesù – di 2000 anni fa! – e mi rifaccio poi all’etica e alla morale che mi insegna: “Se tu sei cristiano, devi…”, e quindi “il dovere del cristiano”. E’ un Dio che portava tanta pazienza, perché le cose non quadravano, e che alla fine aspettava tutti, perché alla fine c’era la morte e si ritornava al cielo. Questa è la costruzione che noi ci siamo fatti di Dio, una costruzione che ci fa comodo perché è un Dio che, tutto sommato, non ha niente a che fare con la mia giornata; è un Dio che tiro dentro quando voglio io e lo lascio dove si trova finché agisco, finché mi muovo. Di fronte a questo Dio, oggi, abbiamo scoperto d’essere tutti in grande difficoltà perché un sacco di gente che si interroga seriamente dice: “Ma se la Messa che ascolto la domenica non mi dice niente; se la mia vita durante la settimana ha poco da spartire con quello che ho sentito in chiesa, perché vado a Messa? Se nella mia società oggi farsi valere, esser persone importanti, significa misurarsi con l’efficienza; con la capacità, sia economica che sociale, di primeggiare, di farsi notare; con l’essere persone dell’immagine, dei soldi, a me che me ne fa di andare a ricorrere ad altre storie?”. Diventa un’alienazione! Molti adolescenti e giovani oggi hanno assunto, con molta onestà e con molta coerenza, la decisione di non sentire più che questo Dio c’entri con la loro vita. E se non c’entra è inutile che continuino ad affermare che c’entra!
E’ da questa situazione io sono partito, ma mi si è rovesciato tutto, ed ho fatto una scoperta per me grandiosa, anche se forse non sono capace di esprimerla. D’altra parte voi sapete che quando uno è innamorato… provare a raccontare l’innamoramento si diventa ridicoli. Vi posso anche sembrare ridicolo questa sera, ma tento.
Noi abbiamo creato un cielo per Dio e abbiamo tutto sommato pensato che il rapporto con Lui è un rapporto che ci riguarda sostanzialmente dopo la morte. Adesso siamo in una fase nella quale sembra dipendere tutto da noi. Vediamo che viviamo lo stesso, che andiamo avanti, che siamo contenti, che abbiamo relazioni, che facciamo tutto quello che dobbiamo fare, che assumiamo le responsabilità.
Proviamo a partire proprio dalla realtà dell’innamoramento: quando uno si innamora, dov’è la testa, dov’è il cervello, dov’è il pensiero? I tempi per stare con l’innamorato/a sono sempre pochi! Quando uno si innamora il pensiero va dove c’è la persona amata. San Giovanni, nella sua prima lettera, dice: “Non noi abbiamo amato Dio, ma Dio ha amato noi e per questo si è fatto conoscere”. Ed io oggi non conosco nessun Dio astratto: io conosco solo un “Dio uomo”. Non conosco un Dio “spirituale”, non l’ho mai visto: io conosco solo un Dio che si è fatto uomo. Allora se è Lui che si è innamorato, se è Lui che ha perso la testa, se è Lui che ha fatto della nostra umanità il luogo per piantare la sua tenda per stare con i figli degli uomini, se è Lui che si è innamorato…: dov’è Dio? Il paradiso allora non è al di là del pianeta! Non c’è un paradiso fuori del pianeta: siamo noi il paradiso di Dio, siamo noi il cielo di Dio. Qui si rovescia tutto!, ed è proprio partire da questo rovesciamento che comprendiamo anche la fatica degli apostoli durante la vita di Gesù. Fino alla fine non hanno capito niente perché Pietro, ad un certo punto, si oppone a Gesù dicendogli: “Signore, tu non puoi incarnarti dentro le vergogne dell’umanità, tu non puoi finire come gli altri, tu non puoi finire crocifisso”. E quando Gesù va a farsi battezzare da Giovanni Battista, si mette in testa o in coda della fila? Si mette in coda, è l’ultimo: “Quando tutto il popolo fu battezzato, anche Gesù…”. Come dire: tutta l’umanità va avanti, tutta, e lui è ultimo; Gesù si mette in coda, ed è solidale con tutto quello che gli sta davanti; ecco perché è senza peccato, perché è solidale con tutta l’umanità. Gli apostoli non hanno capito questo “servizio” di Gesù e hanno detto: “Quelli che sono buoni si devono vedere… devono mettersi davanti”. Si deve vedere che ha un senso essere cristiani a questo mondo; si deve vedere perché se no, cosa andiamo a fare? E Gesù invece finisce in un luogo e in un posto dove nessuno ci sta e nessuno ci vuol stare; e viene abbandonato da tutti.
E quando Gesù risorge… anche qui c’è un bel problema: secondo voi com’è che risorge Gesù secondo la narrazione dei vangeli? Che cosa crediamo dopo la risurrezione? Il problema della risurrezione non è lo spirito: le donne sanno già che lo spirito di Gesù è eccezionale. Tanto è vero che vogliono imbalsamare il cadavere: almeno che resti il più possibile tra noi. Il problema della risurrezione non riguarda lo spirito, riguarda il corpo; inoltre non si tratta di risurrezione da cadavere perché, se fosse risurrezione da cadavere, lo avrebbero riconosciuto. Ma vuoi vedere che adesso, dopo tre giorni che non vedo una persona con cui sono vissuto una vita insieme, non riesco più a riconoscerla? Eppure guardate negli episodi della risurrezione: Gesù è il giardiniere, è il compagno di viaggio per i due di Emmaus, è il pescatore in riva al lago, è il fantasma… insomma, questo Gesù non riescono a riconoscerlo.
Che cos’è questa risurrezione se non che in Gesù, Dio fa corpo con l’umanità, con la nostra umanità? E se noi guardiamo a tutti i segni che vengono adoperati per dire questa realtà straordinaria troviamo tutti gli elementi della solidarietà umana, del lavoro: l’Eucaristia, il perdono… In questo modo l’umanità diventa il luogo teologico dal quale Dio mi parla; Dio si rivela perciò nella storia, ma anche nella nostra vita; entrambe diventano così “sacramento”, cioè realtà attraverso la quale Dio si rivela.
Allora quest’oggi io sottolineo solo alcune cose che mi sembrano importanti per il nostro modo di essere dentro ad una storia nella quale le svolte, i cambiamenti non dipendono soltanto da quelli fisici o psichici del singolo individuo, ma dipendono da situazioni mondiali di tutta l’umanità.
Noi oggi viviamo in una situazione dove abbiamo più paura del futuro che non voglia di andare avanti. Le paure sono dentro di noi perché oggi stiamo capendo che tutte quelle che erano sicurezze del nostro sviluppo in realtà non lo sono più. Ecco che, a livello economico, il problema non è del progresso degli altri ma nel cambiamento nostro; è qui il nodo della paura collettiva perché non abbiamo idea di che cosa possa essere uno sviluppo, uno sviluppo vero dove la felicità dell’umanità non si realizza sulla linea del comprare, del consumare, del distruggere le cose! Invece, questo è proprio il nostro sviluppo.
Di fronte a queste cose io vorrei dirvi come le realtà più forti della vita sono quelle che determinano anche il nostro modo di rovesciare non solo il concetto di Dio, ma anche il rapporto che abbiamo con Lui. Parto da una realtà che avete già sperimentato tutti. Infatti, ritornando al discorso dell’innamoramento, chiediamoci: “Quando ci si innamora, da dove si parte?”. Mi arriva forse la fotografia dicendomi è nata a…, ha occhi azzurri…, è alta…, dunque l’amo? No! Prima mi incontro, prima mi perdo per questa persona, e poi la conosco sempre di più. Tutte le nostre scelte più grandi, infatti, le facciamo in fiducia. Prima mi fido, prima mi innamoro e poi imparo, cammino e cresco nell’amore.
L’innamorato non si lascia sfuggire niente dell’altro! Detto questo vi chiedo: “Qual è stata la Parola di Dio di domenica scorsa?”. Io ho paura che molti dovranno fare un grande sforzo di memoria! Avete mai ricevuto una lettera quando vi siete innamorati? Vi siete mai mandati i bigliettini? Vi garantisco che quella lettera e quei bigliettini ancora oggi non li avete dimenticati. Allora cosa ne dite se il mio rapporto con la Parola di Dio fosse il rapporto con la persona che amo? Pensate che mi dimenticherei le parole della persona amata? Se non ricordiamo nemmeno in vangelo di domenica scorsa vuol dire che non siamo in un rapporto di amore con Dio. Sì perché, essere innamorati, significa non dimenticare più niente… In questo rapporto di amore la Parola di Dio non è più secondaria!
Una seconda cosa circa l’innamoramento: se chi si innamora, per decidersi di sposarsi o non sposarsi, si basasse sull’esperienza di chi è sposato, date tutte le esperienze negative che ci sono, ci sarebbe qualcuno che si sposerebbe ancora? No!, ma si punta lo stesso al massimo e, nonostante venga presentata una situazione di separazioni, divorzi e fallimenti di matrimonio, tutti puntano al massimo e dicono: “Ma io voglio tentare, io ce la metto tutta per riuscire”.
Provate ad applicare questo discorso al rapporto quotidiano che abbiamo con il Signore: voi capite che valenza può avere l’esperienza dell’innamoramento nella nostra vita in riferimento al rapporto con il Signore.
L’esperienza dell’innamoramento ci porta a vedere la realtà con occhi diversi. Quando si va a scuola, quando si lavora, quando ci si impegna, quando si fa il proprio dovere, si vede il mondo in un certo modo. Quando invece si è innamorati si ha un’altra visione del mondo: è tutto come prima, però si è in un atteggiamento del tutto diverso. Io penso che i ragazzi sentano se noi il “problema religioso” lo affrontiamo come uno tra i tanti interventi educativi oppure come l’espressione del nostro modo di essere e di rapportarsi con tutta la realtà secondo un’ottica di fede.
Vivere il cristianesimo non vuol dire seguire delle prescrizioni, delle indicazioni morali, oppure il servirsi della Bibbia magari per dire agli altri quello che devono fare. In questo modo il Vangelo è un libro vecchio di 2000 anni. Il problema della fede è allora il rapporto vivo che oggi ho con Gesù, il quale fa corpo con l’umanità. Io non riuscirei a trasmettere ad uno, solo con le parole, la necessità di dire: “Tu devi accettare gli altri”; io devo vivere questa accoglienza e accettazione: se l’altro lo riconosco come un figlio di Dio – perché io sono figlio e anche l’altro è figlio – questa è la paternità di Dio, questo è il modo di essere di Dio; questo è il modo di essere dello Spirito vivo dentro la storia. La vita da innamorati è diversa da prima, è molto diversa, perché lo spirito è diverso. Questo è allora il problema centrale. Provate quindi a partire da questa esperienza e renderla sacramento cioè il segno, il modo con cui noi possiamo rapportarci con il Signore e con la realtà.
Un’altra cosa: noi abbiamo un’immagine dell’onnipotenza di Dio che è molto più vicina, molto più debitrice a Giove Pluvio o a Giove fulmine, perché per noi l’onnipotenza di Dio è sempre legata al fatto che Dio può far tutto. Ma ditemi la verità: non siete un po’ in crisi di fronte a un Dio che non fa niente, non tanto per me, perché magari mi faccia vincere al lotto… ma un Dio che non fa niente per la giustizia, contro la fame, contro la sofferenza dei bambini, contro le situazioni inumane, contro le crudeltà della guerra: quando prego per queste cose non fa niente. Ma io mi trovo con un sacco di gente che mi dice: “Ma Albino, non starmi dire di pregare il tuo Dio…; ma che cosa vieni a dirmi di pregare il tuo Dio”. E sapete perché? Perché questo Dio non esiste, non è mai esistito. Dio non è onnipotente sul piano della forza: Dio è onnipotente sul piano dell’amore! Avete mai visto un bambino appena nato? Sul piano della forza è zero, ma sul piano dell’amore quella creatura – domandatelo ai genitori – quella cosina lì, non soltanto tiene svegli di notte quando decide lei, ma fa cambiare la testa delle persone, cambia tutto l’orientamento e l’impostazione della vita. Sul piano dell’amore chi comanda non sono i genitori ma è il bambino!
Abbiamo mai pensato che Dio, invece che con l’immagine di un vecchio, di un uomo maturo, può essere rappresentato con l’immagine di un bambino, un bambino appena nato, che si affida alla mia libertà e che si trova dentro la storia non come colui che comanda e si impone, ma come colui che ha bisogno e chiede, come colui che sta alla porta e bussa, come colui che è felice quando, andandogli dietro, uno scopre il senso profondo del vivere e la possibilità di rendere felice gli altri.
Da qui si capisce un altro passaggio per me importantissimo: cosa vuol dire pregare? Cos’è la preghiera di intercessione? A volte ci troviamo a dire: “Senti Signore, io ce l’ho messa tutta, ma adesso, per piacere, fa qualcosa anche tu!”, e portiamo il cero a Sant’Antonio, la candela alla Madonna, facciamo celebrare le Messe per i morti. Ma dove ve li immaginate un papà e una mamma che di fronte ad un figlio che sta urlando dal dolore stanno là a guardare impassibili e che dicono: “Beh, beh, vediamo se te la cavi, vediamo quello che farai”. Questa è l’immagine che noi abbiamo di Dio, di una persona che ci aspetta al varco, che ha tanta pazienza, che sopporta questa umanità, ma che dice: “Prima o poi faremo i conti”. Dio non è così!, questo è un Dio cattivo. Dio è molto più sensibile di un genitore, è molto più preoccupato, è molto più impegnato di ciascuno di noi per far riuscire la storia di tutti – perché Lui ha un progetto di felicità per tutti – e non si dà pace finché anche l’ultima pecora non goda della comunione con tutti gli altri; non si dà pace finché i figli non capiscono che lui è Padre.
Quindi io non conosco più un “Dio astratto” o un “Dio che sta in alto”, ma un Dio che vive nei bambini che soffrono la fame, nella popolazione che è sotto la guerra, nelle violenze strutturali del debito estero, nella storia di tutte le persone che noi rifiutiamo. E’ questo il problema che io ho, questo sì è un grande problema di intercessione. Ci sono un sacco di situazioni che mi fanno schifo; ci sono un sacco di cose che mi sporcano e mi fanno perdere la bella faccia che ho davanti a tutti; ci sono un sacco di realtà nelle quali io ho paura di andarci dentro. Allora sì capisco la preghiera di intercessione… e io me la ricordo benissimo. Sono rimasto sveglio una notte intera quando ho avuto l’idea di andare a Sarajevo disarmati. E là mi sono interrogato: “Ma io ho paura, io non sono uno che è coraggioso, però ho detto: “Senti, Signore, prima di tutto vediamo che il mio non sia protagonismo, che non vada a speculare anche su questo… Senti io non so come sia, ma mi fa una gran “spaga”. Ma se tu dici che siamo mandati come agnelli in mezzo ai lupi… Guardate che è un contro senso: ha un bel coraggio Gesù nel mandare la gente come agnelli in mezzo ai lupi. Provate a pensarci cosa dice il Vangelo: “Agnelli in mezzo ai lupi!”. Ma chi è lo stolto che fa una cosa del genere! Ma se tu dici che le risposte violente non portano a soluzioni di pace, che la non violenza è la strada da percorre allora, Signore, mi fido della tua Parola, ma aiutami, perché io non ce la faccio”.
La preghiera di intercessione: Inter – incedere: “inter” vuol dire “dentro” e “incedere” vuol dire “camminare”. “Intercessione” vuol dire “camminare dentro”. Questa preghiera mi interessa molto perché ci sono un sacco di realtà nelle quali facciamo fatica, non abbiamo voglia di camminarci dentro. E allora la preghiera diventa: “Signore, io non mi fido di me stesso, ma mi fido di te”. Provate a pensare se veramente i nostri ragazzi, le persone che incontriamo non sono solo coloro ai quali noi diamo qualche cosa, ma quelli che ci rivelano la presenza di Dio. In questo rapporto interpersonale, che non è quello del dare-avere ma del camminare insieme, del rapportarci agli altri in sincerità, senza moralismi, possiamo diventare persone che si vogliono bene, e tutti sanno voler bene anche gli “esclusi” dalla società, i “poveri”, quelli che non hanno successo. Tante cose nella nostra vita invecchiano; su un punto solo siamo sempre nuovi, ma anche sempre a rischio: perdiamo tante cose perché si invecchiano ma i nostri sentimenti sono sempre nuovi. Non è possibile amare per il giorno prima o per il giorno dopo. Provate a pensare quanto è importante nella nostra fede avere questa unitarietà proprio a partire da questa “sorpresa”, da questa novità che possiamo offrire ogni giorno.
Finisco e vado all’ultimo punto. Provate a pensare a tutte le “confessioni” che ci sono nel Vangelo, cioè da dove o da chi parte Gesù per dare le buone notizie. Noi partiamo dai buoni esempi, da chi è riuscito nella vita; Gesù invece parte da chi crede di aver fallito: dalla donna dei cinque mariti, cioè la samaritana; dalla peccatirce che va a piangere e ad asciugare i piedi di Gesù (bagnati dalle lacrime); da Zaccheo che è un ladro; da un figlio che se ne va e fa i cavoli suoi (il figliol prodigo); dai lebbrosi che vengono tenuti fuori dalla società perché pericolosi per la sussistenza stessa della società. Gesù, per dire la cosa straordinaria, per dire che la felicità oggi è veramente possibile, parla di un cambiamento proprio per quelli per i quali un cambiamento non è assolutamente pensabile.
Io vorrei lasciarvi su questo punto: la felicità promessa da Gesù non è per i “santi”, le beatitudini vengono date a tutti coloro che vogliono accettarle. Noi conosciamo bene le “beatitudini alla rovescia”: beati quelli che hanno successo, beati quelli che hanno soldi, beati quelli che sanno farsi valere, beati quelli che sono capaci di approfittarne… Le conosciamo bene queste beatitudini e le teniamo davanti a noi con tutti i loro effetti: con un pianeta che è un colabrodo e con i rapporti tra i popoli che sono di una difficoltà enorme.
Sono convinto che bisogna trovare il nodo, il nocciolo dentro la nostra persona di questo rapporto con Gesù di cui parliamo spesso ma ne parliamo senza sentire che è la realtà che sconvolge il nostro vivere quotidiano. Io credo che tutte le strade siano importanti, segnino un cammino, ma è proprio grazie a questo rapporto con Gesù che Madre Teresa di Calcutta è diventata la “dea degli indù”, la santa dei cristiani ed è quella che è stata capace di convocare attorno al suo letto di morte tutta l’umanità, dai più poveri ai più ricchi. Il nocciolo per me è qui, in questa comprensione, in questo rapporto nuovo, diverso, diretto, concreto, fisico con Dio che fa corpo con l’umanità e che annuncia la grande novità, la grande sorpresa del Vangelo proprio a partire dalle situazioni concrete di ciascuno, non tanto annunciando delle “pure verità”. Guardate che in nome della verità, in nome di Dio, Gesù Cristo è stato ucciso. La verità usata come dominio, come conoscenza totale, come presunzione di essere nel giusto ha fatto fuori Gesù, perché lui l’ha annunciata in modo concreto nel suo sentirsi umanità con quelli che umanità non erano, o non erano ritenuti persone, nel suo ridare fiducia, coraggio, ma anche dignità a queste persone e cambiare la loro situazione; questa solidarietà di Dio che va a contatto proprio con la parte peggiore di ciascuno di noi, quella che non abbiamo il coraggio di guardare perché siamo “sporchi”, quella che rifiutiamo anche negli altri perché li giudichiamo e molte volte li buttiamo fuori dalla nostra orbita, proprio questa interessa a lui e solidarizzando con questa è stato eliminato in nome della verità.
Tutto questo è a nostra portata, ed è questa storia che mi interessa perché Dio non rinuncia al suo progetto di felicità, non si dà pace anche se tutta la storia sembra accanirsi contro e dargli torto, ma non rinuncia! E’ incredibile come tutte le situazioni che gli uomini descriverebbero negative, nel Vangelo assumano una valenza nuova: tutte le confessioni di fede avvengono durante un pranzo o finiscono tutte con un pranzo, con una festa: nella parabola dei due figli c’è anche la banda, il complesso. E’ incredibile!
Stiamo riscoprendo, finalmente, una grande voglia di unità e di fraternità, di solidarietà con tutta l’umanità; e proprio grazie a questa riscoperta diventiamo capaci di fare politica, di diventare persone internazionali, di leggere tutti i conflitti ma anche le cose straordinarie che ci sono a questo mondo e sentirle come facenti parte di questa storia nuova. Per me però, e ve lo dico con molta franchezza, dobbiamo seguire le modalità che non sono quelle del successo, del risultato, dell’efficienza dell’organizzazione, quanto invece quelle del rapporto personale, della fiducia anche nei momenti nei quali fiducia non se ne ha più. Sono le modalità del voler bene, e non sempre voler bene significa risolvere i problemi, però è molto diverso trovarsi all’ospedale soli, senza nessuno, ed aver a fianco una persona che ti ama anche se non sostituisce il medico. (brusca interruzione della cassetta!)
Sintesi dei lavori preparatori al convegno
I PROGETTI EDUCATIVI DELLE CO.CA.
Le tematiche che accomunano maggiormente i progetti educativi delle comunità capi della zona sono legate principalmente a due filoni:
dei capi nella comunità religiosa e in quella civile, partecipando attivamente alla vita della chiesa e sviluppando una coscienza politica anche critica, ma soprattutto la testimonianza cristiana
L’ascolto dei ragazzi, delle loro esigenze, ma anche l’ascolto di noi stessi, per capire, per prendere coscienza di sé e della realtà che ci circonda
IL CONFRONTO CON LA LEGGE SCOUT
Le riflessioni delle co.ca. che hanno lavorato confrontando la realtà dei capi con la Legge scout hanno messo in risalto alcune considerazioni relativamente soprattutto a tre articoli della stessa:
L’autenticità e l’interdipendenza fra pensiero e azione sono considerati valori importanti, da coltivare e da porre come obiettivi prioritari nella crescita come presone e capi; il rapporto di fiducia tra capo e ragazzo è considerato fondamentale nel rapporto educativo; il rapporto di fiducia tra associazione e chiesa a volte manca e va coltivato;
Sono puri di parole, pensieri, azioni
recuperare il senso cristiano della purezza, riscoprendo la preghiera, la chiamata alla propria vocazione, richiamando all’educazione sessuale, all’attenzione verso gli abusi, anche di sostanze;
passare da un atteggiamento religioso alla Fede, essere cristiani e quindi capi e non viceversa;
Sorridono e cantano anche nelle difficoltà
Buttare il cuore al di là dell’ostacolo, la gioia del servire (il troppo attivismo/ efficentismo a scapito dell’entusiasmo), conciliare le scelte, saper aiutare a superare i problemi quotidiani serenamente, servizio dei capi più a misura d’uomo
LA LETTURA DELLA REALTA’ DEI RAGAZZI FATTA DALLE BRANCHE DI ZONA
I bisogni dei bambini, ragazzi e giovani particolarmente evidenziati dai capi nelle branche di zona sono i seguenti:
L/C
curare la relazione e il rapporto con l’adulto che spesso è troppo superficiale, non trova tempi e spazio;
recuperare il rapporto con la natura;
recuperare la capacità manuale, curare le competenze
dare spazio alle relazioni fra ragazzi
Desiderano essere amati per ciò che sono
Hanno bisogno di mettersi alla prova, di sperimentare
ALCUNI PUNTI IMPORTANTI DELLE RELAZIONI AL CONVEGNO
RIPRESI NEL PROGETTO
Don ALBINO
la necessità di una catechesi non didattica
la Fede non è pratica di doveri e non è un fatto personale
la preghiera espressione di dialogo
divenire specchio dell’amore di Dio
accompagnare i ragazzi, non portare
relazioni, non risposte tecniche
la persona al centro, partendo dai bisogni
adulto come specchio e limite per il ragazzo
curare la rete di relazioni nel territorio
Premessa
La zona di Scorzè durante l’anno 1998-99 si è impegnata nella scrittura del nuovo progetto 1999-2002.
Il convegno di novembre ’98 a Scorzè ha guidato la stesura del progetto, con le significative relazioni di don Albino Bizzotto e del dott. Guaita, e con i preziosi contributi delle comunità capi grazie alle riflessioni sulla Legge Scout.
Si è cercato di dare al progetto il respiro dei progetti educativi dei gruppi e, infine, si è tenuto conto delle analisi sui ragazzi compiute dalle branche di zona.
Quando si fa sintesi non si è mai certi di cogliere sempre l’essenziale, ma lo sforzo è stato compiuto proprio in questa direzione.
Vogliamo sperare che sia un progetto che risponda alle esigenze della zona e che possa trasformarsi in un utile strumento per compiere qualche passo significativo verso il bene dei nostri ragazzi.
Tematica di fondo
Dopo aver riflettuto sui Progetti Educativi dei gruppi, sui lavori delle Comunità Capi sulla Legge e delle branche, integrati dalle relazioni del convegno, riteniamo che il messaggio guida dei prossimi tre anni possa essere il seguente:
Sentiamoci parte di una storia nella quale Dio ha piantato la sua tenda, nella quale noi desideriamo essere segno della sua presenza, partecipando ad essa con la passione di chi si è innamorato.
Mettiamo al centro la persona con i suoi bisogni, con essa e per essa coltiviamo una rete di relazioni che ci aiuti a crescere autentici, solidi e solidali.
Speriamo così di essere presenza nella storia con la fiducia e lo spirito di chi pianta la sua tenda accanto a quella che Dio ha posto tra noi.
Per tendere a questi obiettivi dividiamo i tre anni di cammino del progetto in altrettante tematiche di fondo:
1° anno AUTENTICI E SOLIDI… |
NOI CAPI |
Coltiviamo la capacità di ascolto di noi stessi e di ciò che ci circonda, dando un nome alle nostre incoerenze. Fondiamo il nostro agire sui valori in cui crediamo e valorizziamo le nostre doti per volgere ad una solidità che ci permetta di essere specchio (dell’amore di Dio) e fratelli maggiori per i nostri ragazzi. |
VERSO I RAGAZZI |
Educhiamo all’ascolto, mettendo al centro la persona, partendo non dai problemi ma dai bisogni (e tra tutti quelli dell’affettività e della comunicazione). |
2° anno IN UNA RETE DI RELAZIONI… |
NOI CAPI |
Coltiviamo la capacità personale e associativa di curare una rete di relazioni dove i nostri limiti possono essere superati e le nostre risorse “potenziate”. |
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VERSO I RAGAZZI |
Diamo loro opportunità di tessere relazioni significative.Proponiamoci come educatori che “accompagnano” i ragazzi, e non “portano”, testimoniando uno stile di relazione al quale loro possono attingere.
Rispettiamo e confrontiamoci sulla loro rete di relazioni. |
3° anno PER ESSERE PRESENZA NELLA STORIA |
NOI CAPI |
Dio non rinuncia a farci sentire parte attiva del suo progetto di felicità nonostante la storia tenda a evidenziare le debolezze dell’umanità.Impariamo a sentirci parte attiva di questo progetto, anche attraverso il servizio di educatori che conduciamo. |
VERSO I RAGAZZI |
Aiutiamoli a cogliere i segni di Dio nella loro storia e in quella del mondo.Coltiviamo uno stile di unità con l’umanità capace di suscitare nei nostri ragazzi il desiderio di essere dentro la storia nelle scelte concrete della loro vocazione. |
Stile e metodo di lavoro
Le tematiche saranno sviluppate secondo quanto sarà stabilito dall’assemblea con i programmi di zona.
Si ritiene comunque importante che le tematiche di fondo siano di riferimento per tutte le proposte formative della zona comprese quelle delle branche che dovrebbero riprenderne gli aspetti legati ai ragazzi e al metodo.
PER LA CRESCITA DELLE CO.CA.
far riscoprire alle co.ca. la loro prerogativa di comunità come dimensione formativa e di aiuto al cammino personal del capo;
la zona, e in particolare l’AE di zona, stimolerà l’incontro e il coordinamento tra gli assistenti dei gruppi allo scopo di analizzare i problemi legati alla proposta di fede per un maggior supporto alle co.ca. e al singolo capo, vista la loro importante e necessaria presenza, curando specialmente le situazioni in cui manca la figura dell’AE.
PER LA FORMAZIONE DEI CAPI
stimolare e verificare lo strumento del tirocinio come fase di inserimento dei nuovi capi nei tre livelli (staff, coca, zona) in cui trova prioritaria applicazione;
continuare a prestare attenzione al fenomeno “turnover” e ai motivi che lo generano, stimolando il confronto tra i capigruppo della zona per verificarsi continuamente sulla capacità della co.ca. di coltivare un clima sereno di educazione permanente;
tener conto che le proposte della zona per capi e ragazzi siano fattibili in termini di tempi e forza disponibili in modo che gli eventi siano sentiti, organizzati, condivisi e vissuti pienamente da tutti;
promuovere tra i capi della zona una riflessione sul significato della parola “stile” per essere testimoni concordi e concreti vero i ragazzi e costruire uno stile di zona proprio dello scout;
la zona, soprattutto attraverso la fo.ca., cercherà di mappare, promuovere e, quando il caso, organizzare esperienze di spiritualità e di fede nel nostro territorio e proposte dall’associazione;
aiutare nella formazione metodologica i capi, soprattutto attraverso l’attività delle branche;
iniziare un confronto tra i capi finalizzato ad una maggiore sensibilizzazione sulla tematica ambientale ed ecologica nelle branche.
PER LO SVILUPPO
La realtà della nostra zona non evidenzia attualmente grandi aree geografiche in cui manchi la proposta Agesci, fatto salvo la zona di S.M.di Sala che con Veternigo è già oggetto di una iniziativa che ha come scopo la nascita di un nuovo gruppo.
Ciò che la pattuglia sviluppo ha messo in luce, invece, è la necessità di creare una rete di relazioni più forte di quanto già sia tra i gruppi esistenti, al fine di favorire una nuova collaborazione e attenzione reciproca che possa essere utile al consolidamento e al potenziamento della proposta scout nella nostra zona.
Proprio a questo scopo si propone di delineare alcune “aree” geografiche che possano servire da riferimento per tutti gli interventi di supporto, collaborazione, integrazione tra i gruppi, sia a livello di comunità capi che di unità.
I criteri che si sono usati per la definizione di queste aree (anche se non sempre rispettati completamente) sono geografici (per favorire gli eventuali spostamenti, le comunicazioni), comunali (per favorire i rapporti e la rappresentanza con le istituzioni civili)e vicariali (per favorire i rapporti, la rappresentanza e la partecipazione alla vita di Chiesa locale).
AREA 1 Badoere – Istrana – Quinto – ZeroBranco
AREA 2 Gardigiano – Rio San Martino – Scorzè
AREA 3 Noale – Robegano – Salzano – Zianigo – (SmSala/Veternigo)
AREA 4 Maerne – Mirano1 – Mirano2 – Spinea
Le aree non sono un livello della struttura associativa, hanno solo lo scopo di rendere espliciti i gruppi soggetti di tutte quelle iniziative di collaborazione che già di fatto esistono come i gemellaggi di noviziato e di clan, possibili “sottozone” delle attività di zona/branca, attività di intercoca, e altre invece che si potranno eventualmente proporre come l’apertura di unità geograficamente dislocate dove non esistono gruppi, sinergie di capi provenienti da co.ca. diverse, collocazione di iscrizioni eccedenti le possibilità del gruppo, e altro ancora.
Le aree non avranno coordinatori e incontri “istituiti”: i referenti e il luogo privilegiato per la discussione dei problemi della zona rimangono i responsabili e il consiglio, dove possono essere portate le situazioni e le soluzioni proposte dai capigruppo delle aree, per una condivisione generale.
Le aree sono indicazioni di collaborazione e non costituiscono vincolo a diverse occasioni di incontro e confronto tra le co.ca. e le branche di aree diverse.
E’ importante la capacità collaborativa e comunicativa dei capigruppo delle aree, che dovranno farsi carico di informarsi e interpellarsi per tempo sui problemi che ritengono possano essere affrontati in termini di area.
Il consiglio verificherà durante il cammino del progetto l’efficacia delle aree.
PER LE ATTIVITA’ DELLE BRANCHE
attraverso la tematica unitaria impostare un confronto ed un approfondimento metodologico tra i capi nei vari incontri di branca;
attraverso gli eventi per i ragazzi, recuperare uno stile fatto di rispetto degli altri e delle cose, di linguaggio, di gioia e di avventura;
negli eventi per i ragazzi è fondamentale il loro essere protagonisti;
PER I RAPPORTI ECCLESIALI E CON ALTRE ASSOCIAZIONI
Assicurare i rapporti con l’Associazione e gli altri organismi, in particolare quelli diocesani (Consulta per i Laici, Pastorale Giovanile) e vicariali, portando la nostra esperienza e sensibilità;
PER I SETTORI
Mantenere la figura dell’incaricato al settore Emergenza e Protezione Civile quale coordinatore di zona e referente per l’ EPC regionale. In fase programmatica sensibilizzerà i capi e/o i ragazzi ai contenuti del settore attraverso i canali più opportuni;
PER IL COMITATO DI ZONA
Il comitato è in funzione della realizzazione del progetto; quindi il buon funzionamento della zona sta nella chiarezza del suo progetto e dei suoi programmi, ma anche nella sua azione unitaria collegiale che porta ad una condivisione di fatiche e di attuazione per una migliore risposta a tutti i livelli associativi; importante è la formazione di un comitato composto da formazione capi e incaricati delle branche nel rispetto della diarchia che garantisca il rapporto diretto della zona con i capi e con al regione portando un arricchimento, una sensibilità delle diversità, sia naturali che culturali, perché la nostra proposta è rivolta a uomini e donne.
Il progetto è stato approvato
dall’Assemblea di Zona a Istrana il 23 maggio 1999.